L’occasione per
queste brevi
note è data
dalla
presentazione di
un libro di un
caro amico,
The Divine
Tourist,
nello spazio
romano sede di
eventi Monk,
all’interno del
Paper market
fair of art
prints &
indipendent
publishing.
Conosco Daniele
Villa Zorn da
quasi vent’anni
e l’ho visto
sempre
culturalmente
impegnato in
diversi settori
artistici.
Da diverso tempo
si cimenta in
quella che è la
tecnica del
collage
fotografico.
Certo, al giorno
d’oggi i metodi
di realizzazione
sono soprattutto
affidati
all’universo
digitale (e
sempre più
spesso,
diciamolo pure,
all’intelligenza
artificiale) che
consentono di
ottenere
risultati più o
meno
accettabili, ma
non è raro che
si tratti di
realizzazioni
destinate ad uno
scopo meramente
ludico e non
sempre motivate
da un reale
intento
artistico.
Daniele, invece,
utilizza solo
immagini
ritagliate
manualmente,
prese da libri
di viaggio e
guide turistiche
prodotte nel
periodo che va
dagli anni
Cinquanta ai
primi Settanta
del secolo
scorso,
illustrazioni e
foto
naturalistiche
che risultano
fascinose nella
loro sostanziale
atemporalità.
Ogni collage è
composto da due
sole immagini,
di cui una
segnata da uno
strappo
evidente, che
rammenta – per
certi versi – la
tecnica del
kintsugi
nipponico,
operazione di
restauro della
ceramica fatta
con foglia d’oro
o d’argento.
Qui, ovviamente
non si tratta di
restituire la
forma originale,
ma di
reinterpretarla
accostando
fotografie che
richiamano altre
immagini, in
quello che è un
vero e proprio
viaggio
all’interno
della psiche,
che suggerisce
al fruitore di
questo
particolare
libro
fotografico una
visione nuova,
completamente
diversa dal
significato
originario ma
decisamente
evocativa.
The Divine
Tourist è
quindi un vero e
proprio viaggio
dell’anima dal
sapore quasi
psicanalitico.
Non solo.
È il lettore
stesso a
divenire il
turista divino.
Proprio perché
utilizza ogni
immagine come
segno da
interpretare. E
quindi, per
l’appunto,
divinare.
Anche perché i
collages
possono essere
visti anche
orientando
diversamente il
volume. Ed ogni
volta
suggeriscono un
percorso visuale
(ed animico) mai
uguale al
precedente.
I due frammenti
di cui sono
composte le
immagini
ricorda,
peraltro, la
tecnica poetica
giapponese dell’haiku,
che in soli tre
versi riduce
all’essenziale
il componimento,
ma spalanca al
lettore il mondo
che descrive
abilmente con
poche quanto
ricche
pennellate,
quasi fosse un
rotolo
emakimono.
Il consiglio,
quindi, è quello
di procurarsi
una copia di
questo gradevole
libro
fotografico (ne
sono stati
stampati solo
trecento
esemplari) edito
da Leporello
Books per
immergersi in
questo
godibilissimo
viaggio
narrativo che
per sua natura
interpretativa
ricorda il
plurisecolare
linguaggio dei
tarocchi.