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© Gabriele Vitella

Un blog che vuol essere un caffè con le Muse.

S
enza l’Arte non potremmo essere vivi.


 
8 Dicembre 2024

 
  Trittico inaugurale  
 

 

Dopo una lunga pausa, riprendo ad occuparmi di musica e – nello specifico – di lirica.

Da più parti ed in più occasioni, amici e semplici conoscenti mi hanno chiesto di ritornare a recensire qualcosa, dopo lo spettacolo del San Carlo di maggio del 2023.

Avevo deciso di non occuparmi più di questo settore per più ragioni, ma la passione resta tale, indipendentemente dai propositi e dalla temperie del momento storico, che – molto francamente – non è proprio dei migliori.

E poi, scrivere di musica mi rilassa e mi carica assieme.

Sono quindi d’accordo con Friedrich Nietzsche nell’affermare che «ohne Musik wäre das Leben ein Irrtum».

Senza la musica, la vita sarebbe un errore. Assolutamente corretto.

E dunque, in quello che è stato un vero e proprio tour de force (ma gradevolissimo) come mi accadeva di fare un tempo, ho scelto tre inaugurazioni di stagione.

Regio di Torino, Opera di Roma, Scala di Milano.

Una trasferta, uno spettacolo nella mia città, l’esperienza televisiva che in molti hanno potuto apprezzare comodamente da casa.

Certo, una poltrona di platea o l’intimo raccoglimento di un palco sono ben altra cosa rispetto al salotto di casa propria, ma sono esperienze, queste ultime, che a livello interiore arricchiscono in egual modo.

Anche se il rito della sala è qualcosa di cui il pubblico non dovrebbe poter fare a meno.

Certo, se il numero delle recite non fosse così esiguo rispetto alla potenziale domanda, il discorso sarebbe diverso.

Ma allestire uno spettacolo d’opera richiede mezzi ed un impegno economico che la nostra società contemporanea pare non potersi più permettere come si faceva una volta.

Se un teatro riesce ad allestire al massimo sette rappresentazioni del medesimo spettacolo nell’arco di un mese, forse dovremmo chiederci quanto e come le istituzioni pubbliche possano sostenere una spesa decisamente maggiore per quella che è stata la forma di spettacolo più popolare nel periodo in cui la nostra nazione si è formata ed ha cominciato a crescere.

Guardiamo al passato ed osserviamo il presente.

Quanti giovani potremmo indirizzare verso questo tipo di Arte, che anche oggi lascia dei messaggi di spaventosa attualità ed interesse?

Per un singolo concerto pop o rock si muovono masse di ragazzi (e non), che pagano fior di quattrini anche solo per stare in piedi in uno stadio.

Legittimo, per carità. La musica cambia, si evolve (o s’involve?) e quelli che erano miti fino a pochi anni prima vengono considerati quasi preistoria dai millennials. E dalle generazioni precedenti, ovviamente.

L’era del consumismo abbraccia (o per meglio dire, stritola) anche i generi musicali.

Ed anche per eventi di questo tipo, che riempiono i succitati stadi, le date sono relativamente poche.

Eccezion fatta per i musical (la cui qualità non è sempre eccelsa, va detto e financo ripetuto) che vanno in tour e che magari pure loro abbisognano di qualche data in più.

Tutto centellinato.

 

E comunque, fatta questa breve tirata, direi che posso passare a questo trittico di inaugurazioni.

Cominciamo dalla prima data, significativa per tanti versi.

Torino, 29 novembre 2024.

Non ho scelto l’effettiva inaugurazione della stagione, partita il 23, per una ragione che potrà sembrare curiosa.

Molto tempo fa, quando ancora non scrivevo di musica, parlai con un vecchio critico. Uno bravo, molto molto bravo quanto anziano.

Mi disse che non bisognerebbe mai, se proprio non se ne può fare a meno, recarsi ad ascoltare la prima rappresentazione.

Orchestra e cantanti sono spesso nervosi e (giustamente eccitati) per il primo impatto che l’opera ha nei confronti del pubblico. Ed anche se ci sono i contatti preliminari con la generale (ed in questi ultimi tempi la cosiddetta anteprima giovani), la prima sera, nonostante le cose possano andare benissimo, il meglio di sé l’ensemble lo offre nelle rappresentazioni successive. Meglio se con il primo cast.

Consiglio che seguo tutte le volte che posso.

Le recensioni sono più obiettive e tengono conto di fattori che sfuggono, ahimè, a molti.

Anche a certi critici che appaiono (e sono, in effetti) molto preparati e con anni di articoli alle spalle.

Per essere assolutamente oggettivi, bisognerebbe recensire dopo la fine dell’ultima replica.

Ma, ovviamente, non si può. Si deve darne conto molto prima.

Questo, con i tempi di un giornale, cartaceo oppure meno, o quelli ancor più rapidi di un’emittente televisiva.

Non è questo il caso.

Insomma, 29 novembre.

Apertura di stagione al Regio di Torino con Le nozze di Figaro di Wolfgang Amadeus Mozart in un allestimento classicissimo già presentato al Teatro Real di Madrid per la regia di Emilio Sagi e con un cast di tutto rispetto.

Biglietto acquistato con larghissimo anticipo, addirittura alla metà di luglio, all’apertura del botteghino telematico per la nuova stagione.

Chi avrebbe mai potuto anche solo lontanamente immaginare che CGIL e UIL potessero indire lo sciopero generale proprio per quella data, mettendo a rischio qualsiasi tipo di attività, comprese quelle artistiche?

Spettacolo in forse fino all’ultimo minuto e pubblico avvertito un paio di giorni prima via mail, direttamente dal teatro.

Parto comunque. Nella peggiore delle ipotesi, avrei provato ad assistere a quella che sarebbe stata l’ultima recita, due giorni dopo, nella speranza di poter trovare un posto, ovviamente.

In una Torino blindata, con gli scioperanti in corteo e scontri tra anarchici e polizia (lo strepito si sentiva da via Po, ad una certa distanza da piazza Castello e quindi dal Regio) alla mattina, mi sono augurato che le cose potessero andare meglio in serata, come si suol dire a bocce ferme.

Ebbene, si entra in teatro.

Sala praticamente piena. Io seduto nel mio posto di prima fila, in trepida attesa.

Viene dato l’annuncio. Una notizia buona, altre due no.

Lo spettacolo si fa. Bene. Benissimo.

Niente attrezzisti, scena (bellissima, peraltro) fissa.

Il cembalista non suona. Quindi, niente recitativi.

Il diritto di sciopero è sacrosanto, per carità.

Ma va apprezzata enormemente la professionalità di ogni singolo cantante, carico e pronto dietro le quinte per la gente in sala.

Come pure quella dei professori d’orchestra, al loro posto.

Più di metà del pubblico abbandona la sala rumoreggiando non poco.

Male. Per rispetto degli artisti, a mio modestissimo giudizio, il teatro sarebbe dovuto rimaner pieno.

Una pesante nota di demerito per chi è andato via.

Anche perché si è perso moltissimo.

Seppure in questa forma di semiconcerto mutila dei recitativi, lo spettacolo è stato gradevolissimo. Quasi fosse stato per pochi, intimi amanti della musica.

Un plauso a parte alla coreografia di Nuria Castejon, che fa danzare il fandango accompagnandolo con le nacchere. Piacevolissimo e di sicuro effetto.

La direzione di Leonardo Sini è morbida, leggera, in linea con la prassi interpretativa. Accompagna l’orchestra con garbo e pulizia. Applausi sentiti da parte del pubblico rimasto, che ha potuto apprezzarne la freschezza.

Ed ora, alcune delle voci.

Solido il Conte d’Almaviva di Vito Priante. Forte, convinto, assolutamente nella parte. Come tutto quanto il resto del cast (di cui si può dire solo bene), preparatissimo.

Molto bene anche Giorgio Caoduro, uno dei migliori Figaro che abbia mai ascoltato. Potente e deciso, m’è davvero piaciuto.

José Maria Lo Monaco è un Cherubino molto gradevole ed è forse il suo personaggio che risente più di tutti dell’assenza dei recitativi. Mi sarebbe piaciuto apprezzarne la teatralità in uno spettacolo completo.

Di Giulia Semenzato ho già parlato in diverse occasioni tessendone le lodi.

Qui è brava non una, ma due volte.

La prima perché nonostante il raffreddore (colpi di tosse durante le uscite per i ringraziamenti finali danno la misura di quanto l’indisposizione possa essere stata per lei più che fastidiosa) ha cantato benissimo, come di consueto.

La seconda perché Giulia Semenzato possiede quel talento tipico di chi sulla scena sembra praticamente esser nato e che – nonostante gli acciacchi di stagione, che sono un vero e proprio dramma nel dramma per la quasi totalità degli interpreti lirici – riesce a comunicare tutta quanta l’intensità ed il calore del personaggio che interpreta.

L’aria del quarto atto Deh vieni non tardar è stata cantata in modo sublime ed intrigante, e nel finale Ti vo’ la fronte incoronar di rose non nego che una lacrima d’emozione m’è scesa.

Perdonate, son debolezze. Ma questo è quel che m’attendevo da quella che considero, come già detto in più occasioni, la voce migliore del mondo, che neppure i malanni di stagione riescono a sopraffare.

Da qui si vedono professionalità e bravura, preparazione e dedizione frutto di anni di studio e tenacia.

Finora non mi sono mai sbagliato nei miei giudizi. Posso dirlo ad altissima voce.

Applausi per tutti, giustamente, alla fine dello spettacolo.

Indimenticabile per mille ragioni.

 

E passiamo alla seconda inaugurazione, quella dell’Opera di Roma, con il Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi.

Qui il discorso si fa diverso.

Una messa in scena estremamente sobria, a tratti essenziale, con le scene ed i costumi di Antony McDonald che possono da un lato rammentare il dipinto metafisico di De Chirico Mistero e malinconia di una strada (in cui inizia e termina l’azione scenica) e dall’altro riducono a quello che nelle intenzioni vorrebbe essere un minimalismo postbelllico anni Cinquanta del secolo scorso i fastosi ambienti dogali genovesi, sostanzialmente irriconoscibili, popolati per lo più da camalli arrabbiati. Fatta eccezione per una parte dei costumi dei senatori, indossati su abiti da operai. Il tutto in un’atmosfera cupissima, un po’ troppo lontana da quella marina brezza cantata dal Boccanegra nella scena quinta dell’ultimo atto.

Qui della regia posso parlare, lo spettacolo firmato dall’inglese Richard Jones era completo.

Un posto in un palco di platea per l’ultima recita, quella del 5 dicembre.

Se devo dirla proprio tutta, m’è parso che sia stato dato largo spazio alla gestualità tipica ed alle movenze tradizionali dei singoli interpreti, che sono apparsi slegati dall’ambientazione che la succitata scelta registica aveva probabilmente in animo di fare.

Insomma, sembra che i cantanti abbiano avuto mano libera nelle movenze, quasi fosse stata, in sostanza, praticamente assente la regia stessa.

Faccenda diversa per le masse corali e per i mimi, le cui movenze sono state curate in tanti dettagli.

Sono rimasto, insomma, perplesso. Al contrario di quello che ho visto appena due giorni dopo nell’allestimento scaligero, di cui parlerò in seguito.

E dalla beata solitudine (non capita spesso) del mio palchetto di platea, ho potuto comodamente valutare le buone, se non ottime prestazioni della compagnia di canto.

Su tutti, ovviamente, Luca Salsi, che è un Boccanegra possente anche da un mero punto di vista scenico. Imponente, solido, centratissimo.

Bravo da far quasi paura, cavalca il palcoscenico con sicurezza. Anni da protagonista assoluto in vari teatri ne fanno il padrone del Costanzi pure nell’ultima replica dello spettacolo inaugurale.

L’Amelia di Eleonora Buratto risuona serena e piena, a dispetto di una scelta costumistica che avrebbe voluto essere neorealistica e si è invece scontrata con un tipo di abbigliamento in stile fin troppo fast fashion. Brava l’interprete, che con la voce ha cancellato quest’impressione nello spettatore.

Grandioso il Fiesco di Michele Pertusi, che regge ottimamente il confronto con Boccanegra. Dire di più sarebbe sovrabbondante. Affermiamo che è un piacere per l’udito del melomane.

Ed è nella parte anche il Paolo di Gevorg Hakobyan, come pure il Gabriele Adorno di Stefan Pop.

Michele Mariotti dirige l’orchestra dell’Opera di Roma con il solito vigore a cui ci ha abituati (il Mefistofele di Boito dell’inaugurazione della scorsa stagione era da incorniciare) ed il pubblico ha gradito moltissimo, come il sottoscritto, la complessiva tenuta orchestrale, che ha mostrato un’omogeneità di suono piacevolissima.

Il finale vede oltre cinque minuti di applausi o giù di lì (non sono stato a contare, impegnato com’ero a spellarmi le mani per esprimere la mia soddisfazione), dapprima per il solo Salsi, poi per il resto del cast e del solidissimo coro del Costanzi.

 

Passiamo quindi all’ultima esperienza d’ascolto, quella televisiva data da La forza del destino di Giuseppe Verdi, che mancava dalla Scala da un po’.

La prima di Sant’Ambroeus è un’istituzione. Non solo per i milanesi.

Difficilissimo avervi accesso, se non lottando per avere un tagliando d’ingresso (che è decisamente caro, ma ne vale la pena) per poter poi raccontare un giorno ai propri nipoti cosa significhi lo spettacolo del 7 dicembre.

Il loggionista incallito, quello che va alla Scala quasi esclusivamente per ascoltare e non per vedere o farsi vedere sa cosa voglia dire un avvenimento del genere. Non paga migliaia di Euro, ma è disposto a fare la fila al freddo per ottenere magari un posto di solo ascolto.

La Scala è per lui qualcosa di molto simile ad un tempio, e come tale lo rispetta. Il loggionista è una leggenda. Taluni mi dicono che come figura pura sia, diciamo così, scomparsa o quasi.

Io mi auguro che non sparisca mai.

E comunque, possiamo considerare il pubblico televisivo una sorta di loggionista che assapora il gusto dell’evento comodamente da casa.

Non è la stessa cosa, beninteso.

Ma con le moderne tecnologie è quasi come essere sul posto, almeno per quanto riguarda l’ascolto.

Nonostante l’assenza della star Jonas Kaufmann, annunciata dallo stesso per motivi familiari il 19 novembre, lo spettacolo si preannunciava come qualcosa di memorabile. E così è stato.

Già la mattina dell’8 dicembre, dopo la prima, controllando sul sito web del teatro, tutte le repliche sono state indicate come esaurite. Biglietti finiti.

Fuori dalla Scala, come di consueto, le solite manifestazioni di dissenso a fini politici. Da tempo ormai immemorabile, il 7 dicembre c’è sempre da protestare e da militarizzare il centro di Milano.

Che sia giusto o sbagliato, ormai la cosa rientra nella tradizione. Non c’è prima alla Scala senza casino fuori dal Piermarini.

Ed a forza di sorbirsi proteste, più o meno politicizzate, la gente comune sembra averci fatto il callo. È come lo sciopero dei trasporti il venerdì nelle grandi città. Se non c’è, è come mancasse qualcosa.

Ripeto, giusto manifestare. Ma se lo si fa solo per partito (è il caso di scriverlo) preso, allora non fa più effetto. È solo mero disagio per il comune cittadino costretto a chinare la testa ed a subire. Non importa da dove venga il mugugno. Alla fine, chi ci rimette è solo il classico uomo della strada.

Comunque, torniamo alla musica.

La regia, efficacissima, porta la firma sensibile ed intelligente di Leo Muscato, che probabilmente memore di certi meravigliosi allestimenti che si vedevano anni fa al Teatro Sistina di Roma (a me piace immaginare così la faccenda, ci sono musical che hanno fatto la storia) ha organizzato il materiale scenico su una piattaforma rotante su cui si muovono i singoli personaggi e le masse corali in modo da garantire una spazialità visiva ed una pratica organizzazione della scenografia, per certi versi essenziale ma altamente simbolica, curata dalla brava Federica Parolini.

L’azione si sposta dalla Spagna del Settecento e passa al conflitto di trincea del ’15-’18 per poi volare all’ultimo atto fino ai giorni nostri, col tema portante della guerra che nell’ultimo atto ci rammenta la tragedia dei profughi di Gaza alla disperata ricerca di aiuti e d’acqua potabile. O quella del conflitto russo ucraino. Oppure la situazione di tanti disperati in fuga dagli scenari delle tante guerre regionali in atto e di cui sentiamo parlare solo di tanto in tanto.

Smuovere le coscienze. È quello che il teatro deve fare. È ciò che la Scala ci ha rammentato in quest’apertura di stagione, in questo difficilissimo momento a livello internazionale.

E veniamo ai protagonisti della serata.

È stata, questa, la migliore prima della Scala di Anna Netrebko, che nei panni di Leonora riscuote un successo meritatissimo.

La soprano è in stato di grazia come probabilmente mai prima d’ora. Non sbaglia praticamente nulla e ci regala un’interpretazione memorabile. Applausi a scena aperta per un’artista su cui erano puntati tutti i riflettori. Successo pieno. Anche se qualche contestazione di natura non musicale c’è stata, per la nazionalità dell’interprete.

Separate l’Arte dalla politica, per favore. Non c’entra niente.

A teatro si va per godere di un momento catartico.

Se volete protestare per altre ragioni, fatelo nelle sedi opportune.

Non confondiamo un tempio della lirica con il bar dello sport.

Non è proprio il caso.

Tornando a noi, mi è piaciuto molto il Don Carlo di Ludovic Tézier, la cui nobiltà di canto ed una corposità vocale notevole vengono alla luce in modo pieno.

Il non facile compito di sostituire Kaufmann è stato affidato a Brian Jagde, che devo dire non ha affatto sfigurato. Anzi.

Note di merito per la Preziosilla di Vasilisa Berzhanskaya e per il Frate Melitone di Marco Filippo Romano, per chiarezza d’interpretazione e presenza scenica.

Chailly è stato visto sorridere, soddisfatto, sul podio.

E non possiamo che essere d’accordo.

Nel suo insieme, lo spettacolo è riuscitissimo. L’orchestra risponde benissimo e la sinfonia, per dirne una, è da incisione.

Dodici minuti di applausi, dopo il finale, rappresentano la misura del trionfo.

Bene. Concludo qui il resoconto del trittico di inaugurazioni di stagione che ho visto ed ascoltato.

Tre momenti in cui ho potuto valutare ed apprezzare il lavoro e la passione di tanti interpreti che danno lustro e vita alla tradizione musicale che è una delle colonne portanti della cultura di questa nazione, che oggi più che mai ha bisogno di nutrirsi del bello per sollevarsi dal torpore per splendere come e meglio di prima.

 

 
  Gabriele Vitella
 
 

Note spettacoli:

TEATRO REGIO DI TORINO
23 novembre - 1° dicembre 2024

“LE NOZZE DI FIGARO”
di Wolfgang Amadeus Mozart

personaggi e interpreti:

Il conte d’Almaviva
Vito Priante
La contessa d’Almaviva
Monica Conesa
Figaro
Giorgio Caoduro
Susanna
Giulia Semenzato
Cherubino
Josè Maria Lo Monaco
Marcellina
Chiara Tirotta
Bartolo
Andrea Concetti
Basilio
Juan José Medina
Don Curzio
Cristiano Olivieri
Antonio
Janusz Nosek
Barbarina
Albina Tonkikh
Prima contadina
Eugenia Braynova
Seconda contadina
Daniela Valdenassi

Orchestra e coro del Teatro Regio di Torino
direttore
LEONARDO SINI

Regia
Emilio Sagi
Scene
Daniel Bianco
Costumi
Renata Schussheim
Regista assistente
Matteo Anselmi
Coreografia
Nuria Castejon
Maestro del coro
Ulisse Trabacchin
Allestimento
Teatro Regio Torino
Produzione originale
Teatro Real (Madrid)
In coproduzione con
Asociación Bilbaína de Amigos de la Ópera (A.B.A.O.)


                                                                ***

TEATRO DELL'OPERA DI ROMA
27 novembre - 5 dicembre 2024

“SIMON BOCCANEGRA”
di Giuseppe Verdi

personaggi e interpreti:

Simon Boccanegra Luca Salsi
Maria Boccanegra (Amelia) Eleonora Buratto
Jacopo Fiesco Michele Pertusi
Gabriele Adorno Stefan Pop
Paolo Albiani Gevorg Hakobyan
Pietro Luciano Leoni
Ancella di Amelia Angela Nicoli
Capitano dei balestrieri Michael Alfonsi

Orchestra e coro del Teatro dell
Opera di Roma
direttore
MICHELE MARIOTTI

Regia Richard Jones
Scene e costumi Antony McDonald
Luci Adam Silverman
Coreografia per i movimenti mimici Sarah Kate Fahie
Maestro d’armi Renzo Musumeci Greco
Maestro del coro Ciro Visco
Nuovo Allestimento Teatro dell’Opera di Roma


                                                                ***

TEATRO ALLA SCALA DI MILANO
7 dicembre 2024 - 2 gennaio 2025

“LA FORZA DEL DESTINO”
di Giuseppe Verdi

personaggi e interpreti:

Il marchese di Calatrava Fabrizio Beggi
Donna Leonora Anna Netrebko
Don Carlo di Vargas Ludovic Tézier
Don Alvaro Brian Jagde
Preziosilla Vasilisa Berzhanskaya
Padre guardiano Alexander Vinogradov
Fra Melitone Marco Filippo Romano
Curra Marcela Rahal
Un alcade Huanhong Li
Mastro Trabuco Carlo Bosi
Un chirurgo Xhieldo Hyseni

Orchestra e coro del Teatro alla Scala di Milano
direttore
RICCARDO CHAILLY

Regia Leo Muscato
Scene Federica Parolini
Costumi Silvia Aymonino
Luci Alessandro Verazzi
Coreografia Michela Lucenti
Nuovo Allestimento Teatro alla Scala di Milano


 



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