Non è mai piacevole
arrivare in ritardo su un disco,
soprattutto quando il tempo trascorso ne
amplifica l’importanza. Eppure ascoltare
Prima d’esservi infedele di Valeria
La Grotta con il Quartetto Vanvitelli
non è soltanto un atto di recupero: è un
gesto di riconciliazione con ciò che la
musica barocca può ancora dirci oggi, in
termini di intelligenza poetica e
profondità umana.
Il titolo del disco – tratto da una
delle quattro cantate di Alessandro
Scarlatti qui incise in prima
registrazione moderna – porta già in sé
una promessa di intimità e confessione.
E quella promessa è mantenuta, anzi
superata. Non ci troviamo davanti a una
mera impresa filologica, ma a una vera
rinascita sonora: le cantate, nate per
un ambiente privato e raffinato,
rivivono qui come piccole tragedie
interiori, microcosmi di passione e
decoro, di misura e abbandono.
Valeria La Grotta si conferma interprete
di raro equilibrio tra istinto teatrale
e rigore stilistico. La sua voce, mai
ostentata, disegna le linee melodiche di
Scarlatti con una chiarezza che è
insieme pensiero e respiro. C’è nella
sua emissione qualcosa di immediatamente
credibile, un fraseggio che sa
accogliere il silenzio tanto quanto il
suono. Non cerca la seduzione esteriore
– la conquista le appartiene per grazia
naturale, non per strategia.
La sua
messa di voce scolpisce la parola
poetica, la porta al centro del discorso
musicale e la trasforma in gesto
drammatico. L’ascoltatore avverte, già
dal primo recitativo, una forma di
sincerità non comune, quella che nasce
solo da chi conosce la musica
dall’interno, non come repertorio,
ma come linguaggio.
E se la voce brilla per consapevolezza e
misura, il Quartetto Vanvitelli le sta
accanto con un’intelligenza cameristica
da manuale. Non accompagna: dialoga,
sospira, commenta. Il tessuto dei due
violini si intreccia con la voce come in
una conversazione settecentesca, di
quelle dove ogni frase sottintende un
galateo affettivo. Il basso continuo,
morbido e trasparente, restituisce a
Scarlatti la nobiltà dell’invenzione
armonica, senza mai appesantirne la
leggerezza.
È impossibile ascoltare questo disco
senza pensare alla figura di Angela
Voglia, detta “La Giorgina”, musa e
interprete ideale del repertorio
scarlattiano romano. Fu lei, nel tardo
Seicento, a incarnare quella duplicità
affascinante tra decoro e sensualità che
la musica di Scarlatti conosce così
bene. La Grotta non ne fa una citazione
storica, ma una trasfigurazione:
restituisce alla Giorgina non solo la
voce, ma un corpo di memoria, una
sensibilità moderna. È come se la
cantante e la musicologa si fondessero
in un solo gesto interpretativo – la
curiosità storica alimenta l’emozione, e
viceversa.
La bellezza di
Prima d’esservi infedele risiede
proprio qui: nella capacità di
conciliare la competenza filologica con
l’urgenza espressiva. La Grotta e i
Vanvitelli non “illustrano” Scarlatti;
lo abitano. Ogni recitativo è un piccolo
laboratorio di retorica, ogni aria un
frammento di psicologia musicale ante
litteram. E quando il dolore diventa
sospensione, o la gelosia diventa linea
spezzata, ci si accorge che il barocco
non è affatto un linguaggio morto, ma un
prisma che riflette, con precisione
chirurgica, le passioni di sempre.
Forse questo ascolto tardivo è stato un
privilegio. Perché permette di cogliere
il disco non come novità, ma come
permanenza: non l’evento di un mese, ma
la voce di un tempo lungo. In un
panorama in cui la velocità consuma ogni
cosa,
Prima d’esservi infedele resiste
come un oggetto di calma, di respiro, di
sapienza. E sì, la voce di Valeria La
Grotta è uno di quei rari strumenti che
riescono a unire conoscenza e
sentimento, misura e calore.
Meglio tardi che mai: certe scoperte
hanno bisogno di maturare nel silenzio
prima di rivelarsi pienamente.