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© Gabriele Vitella

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S
enza l’Arte non potremmo essere vivi.


 
  9 Novembre 2025

 
  L’Irlanda e la nuova idea
di arte come bene civile
 
 

 

C’è un Paese in cui lo Stato ha deciso che l’arte non è un lusso, ma una forma di vita. Non un passatempo, non un privilegio di pochi, ma un mestiere che genera valore, cultura e coesione sociale. Quel Paese è l’Irlanda.
Nel suo bilancio per il 2026, il governo di Dublino ha annunciato che il Basic Income for the Arts, il reddito di base destinato agli artisti, diventerà una misura permanente: un riconoscimento concreto della funzione civile e spirituale dell’arte.

 

Un esperimento riuscito

L’iniziativa nacque nel 2022 come progetto pilota triennale, rivolto a circa duemila tra musicisti, pittori, scrittori, attori, danzatori e lavoratori del settore creativo. Ognuno di loro ha ricevuto 325 euro a settimana — una somma modesta ma costante — senza vincoli di produzione artistica né obblighi burocratici gravosi.
L’obiettivo era semplice e radicale: restituire agli artisti il tempo per creare, liberandoli dall’ansia economica che spesso soffoca la ricerca e il pensiero.

A distanza di tre anni, i risultati parlano da soli. Secondo le analisi di diverse testate internazionali, la maggioranza dei partecipanti ha riferito un netto miglioramento della qualità della vita: più tempo dedicato all’attività artistica, minore stress finanziario, una percezione più stabile del proprio ruolo sociale.
Uno studio ufficiale ha stimato che, per ogni euro investito, la collettività ha ricevuto benefici culturali ed economici superiori al costo iniziale: segno che la bellezza, quando viene sostenuta, sa restituire molto più di quanto riceva.

Il ministro Patrick O’Donovan, presentando la manovra del 2026, ha parlato di “una politica culturale che non si limita a finanziare progetti, ma crea le condizioni per la libertà creativa”.
È un linguaggio raro, che restituisce all’arte un valore intrinseco, non subordinato alla logica del mercato.

 

L’arte come cittadinanza spirituale

Ciò che l’Irlanda ha messo in moto non è solo un programma economico, ma un principio etico.
In un mondo dove quasi tutto è misurato in termini di produttività e profitto, destinare un reddito fisso a chi crea significa riconoscere che il tempo dedicato all’arte non è tempo sottratto al lavoro, ma la sua forma più alta: quella in cui la mente e la sensibilità costruiscono ponti invisibili tra le persone.

È, in fondo, un atto di fiducia: lo Stato che affida agli artisti una porzione del proprio respiro collettivo, perché sappiano trasformarla in pensiero, musica, parola o immagine.
Non si tratta di “pagare l’arte”, ma di tutelare la libertà di pensare per immagini, di comporre, di scrivere, di inventare nuovi modi di sentire.

 

Domande e prospettive

Naturalmente, un progetto di tale portata solleva anche interrogativi legittimi.
Come evitare che il sostegno economico diventi mero assistenzialismo? Quali criteri di selezione garantiscono equità tra discipline, generi e aree geografiche?
E soprattutto: come preservare la libertà interiore dell’artista da ogni tentazione di omologazione culturale?

In Irlanda, il primo triennio ha previsto un sistema di estrazione casuale tra i candidati qualificati, per evitare favoritismi e giudizi di valore sull’arte. Ora si discute di integrare criteri misti, che tengano conto della continuità del lavoro e dell’impatto sociale delle opere.

La sfida più grande, in realtà, è mantenere intatto il senso originario dell’iniziativa: non misurare la creatività, ma proteggerla.

 

Un suggerimento per l’Europa

L’esperimento irlandese rappresenta un suggerimento prezioso per l’Europa.
Mentre molti Paesi affidano ancora le sorti dell’arte ai bandi occasionali o ai mecenati privati, l’Irlanda ha scelto una via diversa: riconoscere stabilmente la funzione pubblica della creazione artistica.
Non come concessione, ma come atto di maturità democratica.

Ciò che emerge da questo esperimento è una visione dell’artista non più come figura isolata, ma come parte attiva del corpo sociale.
La creazione diventa così atto di cittadinanza spirituale: un modo di partecipare alla vita della comunità con gli strumenti del linguaggio, della musica, dell’immagine, della parola poetica.

 

Una proposta per noi

Forse è tempo di aprire anche qui un dialogo serio e costruttivo sulla tutela economica e morale dell’arte.
Non si tratta di replicare pedissequamente l’esperienza irlandese, ma di comprenderne la logica profonda: restituire dignità al lavoro creativo, considerarlo un investimento collettivo e non una spesa superflua.

Un eventuale programma italiano potrebbe assumere forme diverse — borse triennali, fondi di residenza artistica, incentivi fiscali per chi dedica la vita all’arte — ma il principio resta lo stesso: riconoscere che l’arte è patrimonio dell’umanità e garanzia di civiltà.

Perché un Paese che sostiene i suoi artisti non compie un gesto di carità, ma di intelligenza.
E perché, come insegna l’esempio d’Irlanda, la bellezza non si conserva soltanto nei musei: vive dove la libertà di creare trova il coraggio di esistere.

 

 
 
Gabriele Vitella
 
 




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